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Bracciano sotterranea: esploriamo il buio

Da pochi giorni è stato avviato il progetto di ricerca nel sottosuolo di Bracciano (RM). Tra cunicoli, grotte e camminamenti sotterranei è possibile osservare la stratificazione e la sequenza delle fasi abitative.
Sono ambienti ricavati nella roccia tufacea durante i secoli di frequentazione della collina dove si è sviluppato l’agglomerato urbano che oggi definiamo centro storico, o borgo antico.
Cantine e cavità artificiali nel centro abitato nascondono le testimonianze delle epoche passate: si tratta di abitazioni, botteghe e magazzini scavati totalmente o parzialmente nella roccia, in uso almeno a partire dal medioevo. Solo in pochi casi è possibile ipotizzare il riutilizzo di impianti di periodi antecedenti.
Attualmente sono adibiti a cantine, altri sono stati manomessi e trasformati in locali per vario utilizzo, oppure sono stati abbandonati e chiusi, talvolta riempiti di materiali di varia natura, ma fino al passato recente erano stalle, luoghi caratteristici in cui si svolgevano le attività artigianali, o posti in cui venivano conservati i prodotti alimentari. All’interno di alcune cavità troviamo anche delle cisterne per la raccolta delle acque piovane, scalinate con i gradini intagliati nella roccia e tutta una serie di installazioni per le attività quotidiane.
Sono altresì interessanti le ricerche all’interno delle mura difensive, edificate tra la fine del XV e l’inizio del XVI secolo, dove si sviluppa l’antico camminamento con funzione di avvistamento, protezione antimina e postazione da tiro.
Attualmente lo studio si svolge in modo indipendente e del tutto autonomo da qualsiasi ente o istituizione.
Un ringraziamento va a coloro che stanno agevolando le esplorazioni.
Un grazie speciale a Tullio Dobosz per il suo notevole contributo.

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Autrice: Elena Felluca

ultima modifica: 21 marzo 2018

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Sofia Rosa Katharina Branicka Odescalchi

Sophia Rosa Katharina Branicka (2 settembre 1821 – 18 agosto 1886) era figlia di Ròza Potocka, appartenente ad una delle famiglie europee più ricche dell’epoca, e Wladyslaw Grzegorz Branicki, figlio di  Franciszek Ksawery Branicki e Aleksandra von Engelhardt, quest’utlima nata dal matrimonio tra Wassily von Engelhardt e di sua moglie Elena Marfa Potëmkina, ma si narra fosse figlia di Caterina II di Russia.
Sophia sposò Livio III Odescalchi l’11 luglio 1841. Le sue ricchezze permisero il recupero delle proprietà degli Odescalchi a Bracciano, allora in mano ai Torlonia, e il finanziamento di numerose opere a favore della popolazione.
Il 1 luglio 1861 fu stipulato un istromento di Livio III di dazione in solutum del ducato di Bracciano, del contado di Pisciarelli e del principato di Bassano, a favore di Sophia per la somma di 778.618 scudi.
La principessa si occupò dell’ospedale civile, impegnandosi in opere di beneficenza. Troviamo una testimonianza nell’edificio attualmente denominato “Ospedale Vecchio”: Il DSC07995_mod10 aprile 1858 la Presidenza di Roma e Comarca scrisse al priore di Bracciano permettendo l’apposizione di una iscrizione in marmo all’interno dell’ospedale pubblico “onde eternare, in segno di gratitudine, la memoria dei dispendiosi benefici fattivi dalla Sig.ra Principessa Odescalchi, in vantaggio dei poveri infermi”. Il 23 maggio 1858 l’ospedale, venne benedetto dal vescovo sotto il titolo della Immacolata Concezione. Successivamente, un avviso pubblico informava la popolazione dell’avvenuto risarcimento e che l’ospedale sarebbe stato aperto il giorno 1 luglio dello stesso anno. I conti del 1855 e del 1856 presentavano delle incongruenze prontamente sistemate da Camillo de Leo, amministratore per conto di Livio Odescalchi e della moglie Sophia Branicka.  La principessa si occupò anche del rinnovamento architettonico dell’edificio. Gli stemmi sulla facciata ne ricordano gli interventi.

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Tra il 1869 e il 1874 l’ospedale subì consisenti rifacimenti architettonici e restauri di mobili e infissi. Il tutto venne diretto dall’architetto Luca Carimini: “Sulla porta d’ingresso principale nel prospetto si è sistemato in opera il bassorilievo semicircolare di diametro m 2.3 con impalcatura ed inzeppatura in malta e scaglie, muratura di tre grappe e relativa assistenza del modellatore”. Era il 1874.

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La lunetta, ancora presente sulla facciata, rappresenta una scena di vita quotidiana nell’Ospedale: in una camera con tre letti si vedono due donne malate accudite da una donna elegante (si notano le rifiniture dell’abito), con un parannanzi, dietro di lei due suore dell’ordine Figlie della Carità, riconoscibili dal copricapo a larghe tese, che, da come riportano i documenti dell’epoca, in quegli anni erano impegnate nell’assistenza agli infermi. La donna elegante dovrebbe essere Sophia.
I letti, i mobili e gli accessori rappresentati, sembrano quelli comperati da Sophia tra il 18 novembre 1856 e il 31 dicembre 1858, appena cominciò ad occuparsene.

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Sophia fu la prima direttrice dell’Asilo Infantile Comunale istituito nel 1874: con delibera n. 21 del 13 dicembre 1874 si dichiarava che i locali destinati all’Asilo Infantile Comunale erano pronti per l’inaugurazione. Venne proposto di affidarle la futura direzione e amministrazione perchè “la lodata Sig.ra Principessa è non solo animata dalle migliori disposizioni per assumere tale incarico in pieno acordo con la nostra amministrazione comunale, ma intende ancora che l’istituto conservi il carattere esclusivamente municipale”. Era un suo desiderio e la maggioranza dei braccianesi si era dimostrata favorevole. “Considerato che la Principessa approva ed accetta per uso del detto Asilo Infantile, e per abitazione del relativo personale i locali già destinati dal nostro municipio nell’ex convento degli Agostiniani, del Fondo Culto ceduto a questo comune, e chi ne assume la direzione e amministrazione, mediante un assegno annuo fisso da stabilirsi”. All’epoca l’Asilo Infantile Comunale era collocato  nell’ex convento degli Agostiniani, destinato a pubblica utilità.
Lo stesso anno Sophia donò al Comune di Bracciano il Campo Santo, ancora oggi in uso, e la chiesa al suo interno. Fece costruire le mura e l’edificio a sue spese.

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La chiesa ha una architettura neoclassica: portico colonnato, pianta a “croce greca” e una copertura a cupola con un’apertura centrale (oculus) che poggia su un tamburo esagonale.
La superficie interna della cupola è sagomata con 100 cassettoni quadrangolari disposti su cinque file orizzontali di 20 cassettoni ciascuna, di dimensioni diverse, ovvero degradanti con effetto prospettico attorno al grande occhio centrale.                                                                         Il Il 18 agosto 1886, all’età di 65 anni, ella morì. Al momento si trovava a Bassano di Sutri. Nel suo ultimo testamento così salutò i suoi tre figli Baldassarre, Ladislao, Maria della Pace: Je remercie mes enfants pour toutes leur tendresse et piété filiale et je les binis du fond du coeur, leur recommandant avant tout l’amour du Dieu et d’ȇtre toujours fidèles à la Sainte Eglise Catholique Romaine et au S.t Père le Pape vicaire de Jesus Crist sur cette terre de vivre obeissant aux Saints commandements de Dieu et de l’Eglise et lorsque le Seigneur aura appelé mon ȃme de ce monde de prier pour son répos eternel et d’enterrer mon corps près de celui du Prince Livio mon mari qui m’a precèdé au séjeur éternel.
Senza l’impegno di Sophia, molti aspetti sociali, culturali ed economici di Bracciano dell’epoca avrebbero avuto uno sviluppo diverso, di certo meno florido. Lei diede un notevole impulso economico e culturale a Bracciano, poi concretizzato e potenziato soprattutto dal figlio Baldassarre III, ma anche da Ladislao, ad esempio, con la sua prestigiosa collezione di armi e armature ancora oggi, in parte, custodita ed esposta nel castello, e da sua figlia Maria della Pace, contessa Keufstein, alla quale va il riconoscimento dell’acquisto del Convento dei Cappuccini, allora in mano ad un privato, e la riconsegna ai frati.

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Ritratto di Sofia. Museo Civico di Bracciano

Ritratto di Sofia. Museo diocesano del Duomo di S. Stefano di Bracciano

Ritratto di Sofia. Museo diocesano del Duomo di S. Stefano di Bracciano

Ritratto di Sofia. Museo di  Palazzo Braschi, Roma

Ritratto di Sofia. Museo di Palazzo Braschi, Roma

Per saperne di più SABATIA REGIO, VOL. V (in corso di stampa)

Autrice: Elena Felluca

ultima modifica: 2 aprile 2019

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Cupinoro e dintorni: un’importante area archeologica a Bracciano

Negli ultimi anni mi sono occupata dell’aspetto storico e archeologico di un’estesa fascia di territorio nei pressi della discarica di Cupinoro. Fino a un raggio di circa 6 Km sono emersi notevoli resti di epoca etrusca e di epoca romana, altri di datazione incerta, ma comunque facenti parte del patrimonio archeologico.
La presenza delle vestigia del passato è sempre stata nota, ma non sono mai stati effettuati, o divulgati, studi specifici per conoscere e risaltare le caratteristiche della zona in questione, tranne accenni a opere antiche, come il caso di Ponte Coperto e di alcuni aspetti pubblicati da chi scrive nella serie di quaderni Sabatia Regio.
Nell’IGM, la zona cerchiata in rosso è quella sottoposta a perlustrazioni di superficie, sebbene non totalmente per via delle proprietà private. Essa è risultata ricca di vestigia del passato, tranne la zona settentrionale alla discarica di Cupinoro, particolarmente soggetta a cementificazione e “contaminata” da opere moderne.

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Nella zona sud-occidentale di Bracciano, da un raggio di poche decine di metri a 6 km dalla discarica di Cupinoro, sono stati individuati numerosi resti antichi: tombe sparse, piccole necropoli, brevi tratti di sentieri battuti e di tagliate, resti di ponti di attraversamento di fossi, edifici di epoca romana interpretabili come ville o terme, frammenti di ceramica antica sparsi sulla superficie della campagna, cavità artificiali, presunte opere difensive, sistemi di raccolta delle acque e opere di drenaggio, luoghi di culto in cavità artificiali.
L’insieme ha permesso di ipotizzare che lo stanziamento umano sia stato particolarmente intenso durante l’epoca etrusca, come anche in epoca romana a partire dal tardo-repubblicano, fino ai primi due secoli dell’età imperiale.
Nel panorama di sviluppo della città etrusca, la zona in questione poteva essere un’area rurale ove vivevano piccoli nuclei familiari che gestivano, in modo autonomo, medie o piccole “fattorie” dedite ad attività agricole e di allevamento, quindi si può supporre una capillare occupazione del territorio a partire dal VII secolo a.C., presumibilmente in nuclei organizzati da una autorità centrale che gestiva il territorio secondo una strategia economica e amministrativa incentrata sullo sfruttamento agricolo e pastorale, basata sul sistema economico gentilizio.
Il fatto che una delle principali città etrusche, l’antica Caere, si trovi a poca distanza, fa supporre che il settore in questione fosse sottoposto al suo controllo e fosse occupato da insediamenti con prevalente vocazione agro-pastorale collegati tra loro da assi viari. Ciò sarebbe in linea con lo sviluppo agricolo che, a quanto sembra, in Etruria meridionale toccò il massimo splendore nel V secolo a.C., ma non si può escludere la loro dipendenza ad un altro importante centro etrusco limitrofo di cui si sono perse le tracce, forse proprio la leggendaria Sabate.
Dal IV secolo a.C. cominciò un periodo di crisi delle città etrusche culminato nella conquista di Veio da parte di Roma, Caere continuò a vivere mantenendo la sua autonomia, fino alla sottomissione nel III secolo a.C., quando tutti gli insediamenti etruschi vennero poco a poco romanizzati.

Rimango sbalordita dal fatto che, viste le carattaristiche dell’intera area, non si valuti seriamente l’idea di demolire quella montagna di immondizia, differenziando le sue componenti, e di lasciare definitivamente in pace tutto il territorio circostante. Ciò al fine di ripristinare gli spazi e, ove possibile, gli antichi luoghi, di permettere una rigenerazione delle peculiarità naturalistiche, “depurazione” della terra compresa.

Non è una presa di posizione, ma una considerazione sulla natura dell’area.
Come riscontrato in numerosi casi, col passare del tempo, la maggior parte degli edifici antichi, situati in zone divenute ormai inospitali, vennero abbandonati e dimenticati, idem le tombe e le necropoli. A seguito di periodi di abbandono, ad esempio, alcune cavità artificiali, come le tombe a camera, vennero riutilizzate, in passato vennero svuotate dagli oggetti trovati all’interno, senza la consapevolezza di un loro valore di mercato, e riutilizzate come ripari per persone o animali.
Alcune strutture antiche vennero sfruttate come cave di materiali edili: le mura vennero poco a poco demolite e le componenti reimpiegate per costruire abitazioni o edifici di natura differente, magari posizionate in luoghi distanti. È da sottolineare che il fenomeno della spoliazione delle antichità è testimoniato già in età romana imperiale e divenne un fenomeno abituale nelle epoche successive. I pezzi spoliati sono di vario tipo: le lastre scolpite potevano essere utilizzate come ornamento, mantenendo il loro valore comunicativo, mentre i mattoni o le pietre, grezze oppure scolpite, vennero semplicemente reimpiegati nell’edilizia, talvolta indipendentemente dal loro significato primario.
Bolle ed editti a difesa del patrimonio culturale, in particolare dei Beni architettonici di Roma, si hanno sin dal XV secolo. Addirittura Martino V definiva sacrileghe le devastazioni di edifici antichi e imponeva la demolizione di fabbriche abusivamente addossate ai monumenti antichi. Altri pontefici hanno invece provocato danni ai monumenti antichi, ad esempio, asportando marmi per collocarli altrove o per farli triturare al fine di ricavare la calce.
Per non parlare degli scavi clandestini, distruttivi dei contesti e dannosi per la ricostruzione delle culture antiche.
In altri casi notiamo continuità di riutilizzo di una stessa struttura persino fino all’epoca moderna, talvolta modificandola nella planimetria e nella natura, oppure lasciandola tale e quale. Questo vale anche per le installazioni o la viabilità, come le vasche per la raccolta delle acque, le opere di drenaggio, i ponti, le strade, che nei secoli e nei millenni non hanno perso la loro funzione, ma sono state semplicemente ristrutturate e potenziate.

Nella memoria collettiva, il ricordo di insediamenti si è annebbiato fino a scomparire nel tempo, lasciando solo labili tracce materiali spesso illeggibili.

Oggi abbiamo maggiore consapevolezza del significato e dell’importanza culturale delle vestigia del passato, abbiamo una legislazione, piuttosto complessa, volta alla tutela, e non solo, dei Beni antichi.
Alla luce di ciò, dovremmo pianificare, con maggiore rispetto delle norme e della memoria collettiva, ogni genere di opera e ogni cambiamento di destinazione d’uso di un’area, soprattutto in zone intermedie a centri abitati di notevole vocazione turistica quali Cerveteri e Bracciano.

Ceri, ninfeo

Ceri, ninfeo

Ceri, Ponte Coperto

Ceri, Ponte Coperto

Bracciano, opera di regimazione e imbrigliamento di epoca etrusca. Bracciano, Castel Giuliano.

Bracciano, opera di regimazione e imbrigliamento di epoca etrusca. Bracciano, Castel Giuliano.

Foto e approfondimenti:

Autrice: Elena Felluca

ultima modifica: 14 ottobre 2017

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Bracciano (RM), l’acqua di Venere e il culto sotterraneo

IL CULTO DELL’ACQUA NELLA ROCCIA

Nella zona nord-occidentale del lago di Bracciano, nascosto nella campagna e custodito dalla natura, si trova un complesso architettonico sotterraneo dedicato verosimilmente a Venere, dea della bellezza, dell’amore e della fertilità: si tratta di un luogo indicato con l’idronimo acqua di Venere nell’Istromento 23 agosto 1608 tra le sorgenti cedute a Paolo V per ripristinare l’antico acquedotto di Traiano.
La chiave di lettura per comprenderne la natura può essere quella di un uso cultuale.
L’edificio venne realizzato sul declivio naturale di un avvallamento, poi inglobato da Traiano apportando delle variazioni nella struttura e nell’utilizzo, essendo assai severe le norme di tutela e conservazione degli acquedotti che rifornivano Roma.
La roccia e le scaturigini erano state racchiuse in una struttura monumentale in un momento imprecisato dell’epoca imperiale: un lungo corridoio delimitato da portici rialzati, composti da arcate sorrette da grossi pilastri in laterizio, convogliava l’acqua scaturita da vari punti della roccia in un piccolo fiume sotterraneo. La roccia viva è a vista sul lato nord, la nicchia centrale è piuttosto elaborata e lascia supporre la presenza di una statua, forse l’immagine della divinità adorata. La volta conserva in alcuni punti l’intonaco celeste che doveva rivestirla interamente. Il prospetto meridionale appare manomesso dalla muratura di chiusura delle nicchie: è ipotizzabile che si affacciassero verso l’esterno e, se fossero state aperte senza il muro di fondo, come è facile supporre senza volare troppo con la fantasia, permettevano alla luce naturale di entrare creando giochi di luci e ombre e di lasciare intravedere dall’esterno l’immagine sacra.
Prima che Traiano modificasse parzialmente la struttura, il complesso, visto dall’esterno, doveva avere una scenografia spettacolare: si affacciava su una valletta racchiusa naturalmente tra pareti rocciose piuttosto ripide e aperta a sud in una spianata, dove vi erano dei laghetti nati dalla decantazione delle acque sorgive. Possiamo supporre che il tutto fosse racchiuso in un boschetto sacro e circondato di giardini.

È noto, più delle altre captazioni dell’antico acquedotto, il ninfeo di Santa Fiora, a Manziana, considerato erroneamente il caput aquae dell’aqua Traiana, ma essa non era altro che uno dei numerosi capi d’acqua, abbandonato definitivamente nel medioevo e mai utilizzato da Paolo V. La struttura di epoca romana risulta assai meno monumentale rispetto al complesso dell’acqua di Venere ed è piuttosto rimaneggiata per via del suo utilizzo come chiesa fino a pochi decenni fa, ciò ha fatto perdere vari elementi originari. Essa rappresenta uno di quegli aspetti di continuità di utilizzo, nei millenni, come luogo sacro, sebbene l’impianto cristiano abbia cancellato ogni traccia del culto pagano.

Il lavoro di studio sarà di prossima pubblicazione nel quarto quaderno della collana Sabatia Regio. Studi, esplorazione e ricerche nel territorio del Lago di Bracciano.
Colgo l’occasione per ringraziare carissimi amici con i quali ho potuto condividere momenti speciali durante le ricerche: Antonio De Sessa e Tullio Dobosz.

Bracciano (RM), Acqua di Venere, captazione dell'Aqua Traiana-Aqua Paula

Bracciano (RM), Acqua di Venere, captazione dell’Aqua Traiana-Aqua Paula

Bracciano (RM), Acqua di Venere, captazione dell'Aqua Traiana-Aqua Paula

Bracciano (RM), Acqua di Venere, captazione dell’Aqua Traiana-Aqua Paula

Bracciano (RM), Acqua di Venere, captazione dell'Aqua Traiana-Aqua Paula

Bracciano (RM), Acqua di Venere, captazione dell’Aqua Traiana-Aqua Paula

Bracciano (RM), Acqua di Venere, captazione dell'Aqua Traiana-Aqua Paula

Bracciano (RM), Acqua di Venere, captazione dell’Aqua Traiana-Aqua Paula

Fonte: Scintilena

Autrice: Elena Felluca

ultima modifica: 29 luglio 2017

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Ricognizione archeologica lungo le rive del lago di Bracciano

Le condizioni climatiche e la scarsa piovosità di oltre un anno hanno causato il progressivo abbassamento del livello del lago di Bracciano. Le fonti di alimentazione sono le sorgenti naturali e le piogge stesse, così l’aumento della siccità, rispetto agli anni precedenti, ha determinato una diminuzione del livello di circa 1.5 m. Il lago ha risentito di una situazione meteorologica generica che coinvolge tutta la nazione, ma a contribuire, sebbene in piccola parte, sono anche i prelievi dell’Acea indispensabili per rifornire di acqua una parte di Roma e altri comuni del Lazio.
Il lago non ha immissari fluviali, solo un emissario, l’Arrone, ma attualmente le paratoie dell’imbocco sono chiuse e le condizioni dell’imbocco non permettono la fuoriuscita di acqua.
Da sempre il livello del lago di Bracciano è influenzato dalle condizioni climatiche, ciò ha comportato numerosi problemi per quanto riguarda le attività rivierasche e, sin dal XVII secolo, per le opere idrauliche realizzate per condurre acqua a Roma.
Storicamente ed archeologicamente abbiamo notizie del “troppo pieno”, ossia del livello troppo alto con conseguenti allagamenti di abitazioni, campi e strade, o del “troppo basso”, ossia di siccità che ha comportato lo scavo di canali per irrigare. Ciò ha condizionato anche l’assetto degli insediamenti sulle sponde.
L’attuale situazione di abbassamento del livello ha permesso di individuare e localizzare numerose rovine antiche lungo le rive: manufatti antichi, pietre lavorate, frammenti fittili, mura, resti di edifici antichi, palizzate, ossia numerose testimonianze al passato.
Tutto lascia tracce sul terreno e, ora che il lago si è abbassato notevolmente rispetto agli anni precedenti, è possibile osservarle e studiarle.
Un’individuazione e uno studio ci permetterà di conoscere meglio e tutelare il patrimonio storico ed archeologico presente nel territorio in questione.
Al momento sono emerse piccole concentrazioni di materiale ceramico, vasellame e resti di tegole, soprattutto di epoca romana, ma anche di epoche recenti, infatti in superficie possano trovarsi reperti risalenti a periodi differenti. La formazione dei depositi può essere avvenuta per fenomeni naturali oppure sono stati accumulati appositamente.
Sono riemerse dalle acque resti edifici già in parte noti: si tratta perlopiù di ville di epoca romana, caratterizzate dal collegamento con il centro urbano grazie alla prossimità a importanti vie di comunicazione.
Parallelamente alla via moderna circumlacuale, ad una distanza di circa 10 m, in vari tratti sulla riva del lago, troviamo vari basoli divelti: si tratta delle componenti della viabilità romana, forse uno dei diverticoli della via clodia che si dirigeva verso l’attuale tenuta di Vicarello, interessata dalla frequentazione umana a partire dall’Età del Bronzo, con un picco durante tutta l’epoca romana, quando vennero edificati imponenti costruzioni, almeno a partire sin dal III secolo a.C. fino al primo imperiale. Un tratto della strada è in posto sott’acqua, evidente in uso quando il livello del lago era molto più basso rispetto ad oggi. Durante i lavori di asfaltatura dell’attuale via di percorrimento e di messa in opera di tubature varie, i basoli possono essere stati scalzati, oppure facevano parte dei tratti oggi sommersi, asportati per essere riposizionati altrove.
Si trovano anche palizzate di recinzioni per delimitare le proprietà, file parallele di paletti, forse resti di pontili per attraccare le imbarcazioni da pesca o da trasporto, l’epoca potrebbe essere identificata solo a seguito di una eventuale accurata analisi del legno.
Rimangono dei forti dubbi nelle interpretazioni dei resti archeologici lacustri, i dati attualmente a nostra disposizione dicono ben poco sulla reale funzione delle reminiscenze materiali del passato, occorrerebbero indagini più approfondite.
Presto verrà prodotta e messa a disposizione una documentazione dettagliata sulla documentazione registrata.

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Autrice: Elena Felluca

ultima modifica: 24 maggio 2017

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